Ordine della SS.ma Trinità e degli schiavi

Santi Trinitari

Santi del nostro Ordine

San Giovanni di Matha

Giovanni de Matha nacque il 24 giugno 1154 (o 1160) in un piccolo paese delle Alpi francesi chiamato Faucon de Barcelonnette. Proveniente da una famiglia vassalla dei Conti di Barcellona, ricevette una formazione classica presso il collegio di Aix-en-Provence, Marsiglia e infine Parigi, centro intellettuale di tutta la cristianità. Lì conseguì il titolo di dottore in teologia e insegnò alla Scuola Cattedrale, da cui il titolo di “Maestro Teologo”. Profondamente religioso e pio, volle dedicarsi interamente a Dio e al suo servizio, chiedendogli un segno che gli indicasse la via da seguire. Ordinato sacerdote da Maurice de Sully, vescovo di Parigi e costruttore di Notre Dame, celebrò la sua prima messa il 28 gennaio 1193. 

Al momento della consacrazione, Giovanni ricevette la risposta tanto attesa. Uno scrittore anonimo del XIII secolo racconta così l’evento: “Giunto il giorno della sua prima messa, pregò il Vescovo di Parigi, l’abate di San Vittore e il suo maestro Prevostino di voler partecipare alla celebrazione. Erano inoltre presenti alla cerimonia tutti i grandi di Parigi. Durante la celebrazione dell’Eucaristia, al momento della consacrazione, supplicò ancora il Signore di volergli benevolmente indicare in quale ordine religioso dovesse entrare per la sua salvezza. Nell’alzare gli occhi al cielo vide la gloria di Dio e il Signore che teneva tra le sue mani due uomini con le catene ai piedi; dei due, uno era nero e deforme, l’altro bianco e macilento”. 

Questo testo descrive bene l’ispirazione che lo spingerà a lasciare l’università per fondare un nuovo ordine. Giovanni de Matha farà rappresentare questa visione su un mosaico tuttora esistente nel portale dell’ospedale romano di San Tommaso in Formis. Molti contemporanei corroborano la credenza comune dell’azione divina nella creazione dell’Ordine e lo stesso Papa Innocenzo III la confermò. Così i Trinitari avranno sempre coscienza che il loro Ordine è stato fondato da un intervento diretto e personale di Dio.

 

Giovanni si unì a un gruppo di eremiti nel bosco di Cerfroid, distante 70 km a nord-est di Parigi. Lontani dai rumori della capitale, condividendo la loro vita ed entusiasti del progetto di fondazione, questi anacoreti offrirono la loro persona e i loro beni per formare il primo nucleo della futura comunità. L’ideale religioso e apostolico di Giovanni de Matha attirò anche benefattori sensibili alla sofferenza dei cristiani prigionieri. La contessa Marguerite de Blois, gli offrì una prima domus nella terra di Cerfroid, Robert de Planels gli affidò una Chiesa e Maria Panateria gli donò una residenza.

Desideroso di ottenere la conferma ecclesiale del suo progetto, Giovanni de Matha si recò a Roma. Innocenzo III, profondamente preoccupato per la sorte dei cristiani prigionieri, lo rimandò a Parigi per ottenere ulteriori informazioni, offrendo la sua protezione (16 maggio 1198). A Parigi, Giovanni affinò la regola di vita scritta con i suoi primi compagni. Questo testo doveva esprimere l’esperienza spirituale e apostolica dell’Ordine, la sua missione, la sua vocazione, la sua fisionomia, lo spirito e lo stile evangelico. Apportate le dovute correzioni, il documento venne indirizzato al Vicario di Cristo. Giovanni si recò quindi una seconda volta a Roma, dove Innocenzo III riconobbe che la proposta di Giovanni è fondata su Cristo e che lui e i suoi fratelli cercano solo “l’interesse di Cristo”. Il pontefice approvò la regola e  l’Ordine della SS. Trinità e degli schiavi, che potrà quindi associare i laici alla missione dell’Ordine. L’8 marzo 1199 Innocenzo III inviò una lettera di raccomandazione a Miramolino, re del Marocco, nella quale lodava i Trinitari e le loro opere. 

Così, subito dopo il suo riconoscimento, l’Ordine organizzò una spedizione di redenzione. È molto probabile che il fondatore stesso si sia recato nella terra dell’Islam per compiere questo primo viaggio di redenzione dei prigionieri cristiani. Passando per Marsiglia, Giovanni vi fondò una casa. La città servirà da porto di imbarco per i redentori e di sbarco per tanti cristiani redenti, simboleggiando così la libertà e la patria ritrovata per migliaia di uomini strappati dal carcere. Poi, Giovanni si recò ad Arles, in Aragona, dove un certo Pedro de Belvis gli offrì una torre e un terreno. Ottenne lettere da signori locali come i conti Guillaume, principe d’Orange, Hugues e Raymond de Baux, che garantivano l’immunità signorile e la protezione dei beni e dei religiosi. Lungi dall’accontentarsi di ciò, nel 1203 Giovanni chiese nuovamente al papa di estendere la sua protezione alle nuove fondazioni. Durante le controversie, Giovanni si mostrava sempre come una persona in cerca di conciliazione anche a costo di rinunciare ai suoi legittimi diritti. Continuò la sua opera di fondazione di case in tutta la Spagna (Toledo, Segovia, Burgos…).

Tornato a Roma, Giovanni chiese al papa un’ultima volta di proteggere tutti i beni dell’Ordine. Quest’ultimo gli offrì il possesso perpetuo dell’ospedale di San Tommaso in Formis a Roma con le annesse proprietà. Giovanni vi stabilì la sua residenza portando quindi il titolo ufficiale di “ministro di San Tommaso in Formis”. Una tradizione riporta che il Poverello di Assisi sarebbe stato accolto in questo ospedale e avrebbe incontrato Giovanni de Matha. Quest’ultimo visse i suoi ultimi anni a Roma e morì il 17 dicembre 1213. Il suo corpo riposò in San Tommaso in Formis; nella notte tra il 19 e il 20 marzo 1655 fu trafugato e portato a Madrid. Il suo culto immemorabile fu riconosciuto e confermato da Alessandro VII. Attualmente le sue reliquie si trovano nella Chiesa di recente costruzione che porta il suo nome a Salamanca (Spagna).

Scritto da P. Thierry Knecht

San Felice di Valois

Giovanni de Matha ha dovuto riunire un certo numero di collaboratori per la fondazione del suo Ordine. I documenti dell’epoca ne nominano alcuni come Felice, Ministro di Marsiglia, Bonifacio, Osbert, Mattia, Vitale… Una tradizione secolare assegnava un ruolo essenziale agli eremiti di Cerfroid e soprattutto alla loro guida, un certo Felice di Valois ,che guadagnerà il titolo di co-fondatore.

Nato ad Amiens il 9 aprile 1127, ricevette il nome di Ugo. Figlio di Raoul I di Vermandois e di Eleonora de Champagne, apparteva alla linea dei Valois. Educato da Bernardo di Chiaravalle, prese parte alla seconda crociata. Al suo ritorno rinunciò ai titoli e a ogni privilegio e si ritirò nel deserto di Cerfroid. Per esprimere questo cambiamento di vita, prese il nome di Félix. Incontrò Giovanni de Matha e con entusiasmo offrì la sua persona e i suoi beni al progetto trinitario. Durante una conversazione con Giovanni de Matha nei pressi di una sorgente, incontrarono un cervo, che portava tra le corna la croce rossa e blu, identica a quella vista da Giovanni durante la sua prima messa. Accompagnò Giovanni a Roma per ottenere l’approvazione dell’Ordine. Di ritorno dalla prima spedizione di redenzione compiuta nella primavera del 1199, Giovanni si fece dell’espansione dell’Ordine in Europa e Felice dell’amministrazione interna e soprattutto della formazione spirituale dei candidati. Dal 1200 al 1208 fu ministro di Marsiglia e sentendo avvicinarsi la fine, decise di tornare a Cerfroid. Fu nella notte tra il 7 e l’8 settembre 1212, festa della Natività della Vergine, che fu benedetto da un’apparizione della Vergine e dal coro celeste che cantava l’ufficio. Morì il 4 novembre e fu probabilmente stato sepolto a Cerfroid.

Alcuni autori cercano di negarne l’esistenza, altri al contrario esagerano la storia leggendaria. Non possiamo presentare neppure in poche righe tutte le argomentazioni delle diverse parti, ma tacere la figura di Felice di Valois nella storia e soprattutto nella spiritualità della nostra famiglia religiosa non sarebbe degno di spirito critico e storico. Intere generazioni di trinitari, e in prima linea, il nostro riformatore, Giovanni Battista della Concezione, hanno riconosciuto in questo religioso la dimensione contemplativa dell’Ordine.

Dobbiamo umilmente riconoscere che la documentazione comprovante la sua esistenza e il suo culto all’origine dell’Ordine è piuttosto debole. Ma il silenzio dei documenti o la loro mancanza, non può in nessun caso servire da prova per i suoi detrattori. La tradizione svolse la sua opera aiutata dall’agiografia popolare soprattutto a partire dal XV secolo. Ci ha lasciato in eredità una figura che può essere abbellita, ma che esprime meravigliosamente il bisogno di Dio che l’apostolo sente per la sua missione, il redentore per la redenzione dei fratelli. Distruggere le storie leggendarie costruite attorno a Felice di Valois, come tanti altri santi, è certamente facile e persino infantile, ma non si può negare né la sua influenza sulla spiritualità di intere generazioni di religiosi e laici, né la sua esistenza in modo scientifico .

Il suo culto immemorabile fu riconosciuto da Alessandro VII, e si celebra oggi, 4 novembre.

Scritto da P. Thierry Knecht

San Giovanni Battista della Concezione

San Giovanni Battista della Concezione è passato alla storia come il riformatore dell’Ordine della Santissima Trinità e degli schiavi. Per i suoi scritti è tra i grandi mistici dell’età d’oro della Spagna. Nacque in una famiglia di otto figli ad Almodóvar del Campo (Ciudad Real) il 10 luglio 1561. Suo padre, Marcos García Xijón, è imparentato con San Giovanni di Avila. Il nome di sua madre era Isabel López Rico. Nella sua adolescenza ha frequentato i Carmelitani scalzi di Almodóvar, di cui desiderava indossare l’abito. Ma i suoi desideri non furono esauditi, nemmeno con l’approvazione della famiglia e l’accoglienza dei Carmelitani.

     Nel giugno del 1576 conobbe Santa Teresa di Gesù nel suo paese, in visita ai Carmelitani, che soggiornava presso la sua casa di famiglia. In seguito lesse con interesse i libri della santa, cui farà riferimento con filiale devozione. Studiò filosofia per due anni presso le università di Baeza e Toledo. All’età di 19 anni, indossò l’abito trinitario a Toledo, momento in cui iniziò a chiamarsi Juan Bautista Rico. Con l’emissione della professione religiosa (29 giugno 1581), abbracciò il programma di vita dei Trinitari dell’antica osservanza. Fece quattro anni di  teologia presso la famosa Università di Alcalá de Henares, al termine dei quali fu stato ordinato sacerdote (1585). In seguito trascorse 16 anni, senza alcuna intenzione di fare riforme, svolgendo con grande frutto per i suoi ascoltatori il ministero della predicazione come predicatore ufficiale di diversi conventi (La Guardia, Membrilla, Siviglia). Negli anni di Siviglia (1594-1596) godette di grande stima in convento e fuori di esso. Aveva un’ottima formazione filosofico-teologica e mirabili qualità morali e umane che gli meritarono di essere riconosciuto come “il teologo” e come uno dei migliori predicatori dell’Ordine Trinitario. La sua coscienza e la voce dei suoi superiori e fratelli gli assicuravano che questo è l’apostolato che Dio gli chiedeva.

I Trinitari, pur accogliendo le direttive di riforma del Concilio di Trento, erano restii a stabilire una riforma radicale nell’Ordine, come fece Santa Teresa con i Carmelitani. Solo tardivamente (1594) le province spagnole decretarono, sotto la pressione del re Filippo II, l’istituzione di alcune case di recollezione con stili di vita più austeri. A Valdepeñas venne fondata la prima casa di recollezione. Giovanni Battista della Concezione, nonostante fosse felice di questa misura di riforma, rifiutò di abbracciarla, a causa della sua cattiva salute e della sua sfiducia verso l’atteggiamento inoperante dei suoi superiori. A Siviglia, dove spiccò come predicatore ufficiale del convento, mise alla prova le sue forze ed escluse per sé il rigore della Riforma. Nel gennaio del 1596, in occasione della festa di sant’Agnese, patrona dell’Ordine, nacque nel suo cuore e nella sua mente il primo desiderio di essere recolletto, «ma – ammette – gli ho chiaramente resistito».

 Dio dovette intervenire con grazia straordinaria per fargli cambiare vita e spingerlo ad entrare nella casa dei recolletti di Valdepeñas (febbraio 1596). Un giorno in cui il giovane predicatore lasciò Siviglia per ragioni molto umane, gli si manifestò la volontà irrevocabile di Dio sotto il segno di una tempesta impetuosa. Ed è allora che, così messo alle strette, dovette decidere una volta per tutte. E si arrese alla volontà di Dio: «Signore, -disse-, mi riformerò a Valdepeñas». E lo fece con piena consapevolezza e con tutto se stesso: «La tempesta è passata e io sono rimasto indietro con un voto e con un obbligo e con desiderio e volontà». Si tratta di un fiat incondizionato e irrevocabile. Arrivò a Valdepeñas (26 febbraio 1596) «per essere veramente scalzo» e per abbracciare in tutta la sua radicalità la Regola Primitiva. Come ministro della casa (maggio 1596-estate 1597), orientò i suoi sforzi per fornire di solide basi spirituali la comunità. Insisteva su una vita di povertà, umiltà, penitenza, fraternità.

     Quando si trovò abbandonato dai suoi superiori, nemici della riforma, nell’ottobre del 1597 iniziò il suo viaggio a Roma, con uno scopo fondamentale: chiedere la conferma della Regola Primitiva, cioè l’approvazione di un modello di vita conforme con la Regola di San Giovanni di Matha. Durante il suo soggiorno a Roma (1598-1599) completò l’affinamento del suo spirito secondo i disegni di Dio. Lì, in attesa del verdetto pontificio e arrivato al punto di abbandonare il progetto della riforma e anche l’abito trinitario a causa di dolorosi contrattempi, persecuzioni, ostilità, scoraggiamenti, attacchi del maligno e conflitti spirituali, proprio in quel momento angoscioso Dio gli chiese la sua opzione personale tra la vita raccolta di un convento carmelitano e la continuazione della sua opera a favore della riforma. Infine, il 20 agosto 1599, Clemente VIII promulgò il breve Ad militantis Ecclesiae regimen, con il quale eresse la “Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità”, impegnata ad osservare fedelmente la Regola Primitiva. Nello scritto che narra l’itinerario del processo di riforma, si insiste sul fatto che la riforma trinitaria è opera esclusiva di Dio.

     Nella festa dell’Immacolata nel 1599, Giovanni Battista, già a Valdepeñas, rese obbedienza al delegato pontificio, il carmelitano Elías de San Martín, autorità superiore dei Trinitari Scalzi fino che essi non giungessero ad avere otto case, e assume il suo nuovo nome religioso: “della Concezione”. A partire dalla sua professione riformata, il 18 dicembre 1600 nella casa di Valdepeñas, si dedicò alla fondazione di nuovi conventi, ottenendo l’ottavo a Valladolid, con il quale si poteva già costituire una provincia indipendente. Così, il capitolo tenuto a Valladolid (8-11-1605) lo elesse ministro provinciale. Intorno alle stesse date ebbe i primi contatti con il duca di Lerma, che da allora in poi sarebbe stato il suo braccio protettore secolare, ottenendo anche l’appoggio di Felipe III. Durante il suo mandato triennale di ministro provinciale (1605-1608), pur difendendo la Riforma da numerosi attacchi, continuò l’attività fondatrice. La croce greca, di forma rettangolare, che egli impose sull’abito scalzo gli portò, per la denuncia della calzatura, un processo nella nunziatura, che terminò con una sentenza a suo favore.

    Promosse personalmente la fondazione di 16 conventi, su un totale di 18 (di cui uno a Roma). L’anno 1612 sostenne la creazione della prima comunità di monache trinitarie scalze a Madrid. Nel convento trinitario di Córdoba, da lui fondato, morì il 14 febbraio1613.  In questo convento vi sono venerate le sue sacre spoglie. Fu beatificato da Pio VII il 26 settembre 1819 e canonizzato da Paolo VI il 25 maggio 1975.

     Ci ha lasciato una ricca produzione letteraria, riflesso in larga misura della sua elevata esperienza spirituale, sulla falsariga di santa Teresa di Gesù e di altri grandi mistici del suo tempo. È asceta e mistico, predicatore popolare e teologo, riformatore e maestro dello spirito. Pertanto, i suoi libri riflettono quella varietà di sfaccettature vitali in un corpo letterario originale. Per conoscere la sua esperienza in prima linea nella Riforma Trinitaria, è indispensabile leggere il suo primo scritto: Memoria delle origini della scalzatura trinitaria.

Scritto da P. Juan Pujana

SAN SIMONE DE ROJAS

Il “Padre Ave Maria” al servizio dei poveri (1552-1624)

La portata ecclesiale e sociale del trinitario san Simone de Rojas nel suo tempo e per la storia della Chiesa è eccezionale. Egli è stato un protagonista indiscusso nel panorama religioso, culturale e perfino politico tra Cinquecento e Seicento. Amico e consigliere dei re di Spagna Filippo III e Filippo IV, nonchè della regina Margherita d’Austria, confessore della regina Isabella di Borbone e della principessa Anna d’Austria –più tardi regina di Francia e madre del Re Sole-, maestro dei principi don Carlo e don Fernando, Padre Rojas è stato stimato dai grandi della corte di Madrid e ha occupato un posto rilevante del quale però ha rifiutato di trarre qualsiasi profitto mondano. Padre Simone è stato sempre il frate più povero del convento della Santissima Trinità di Madrid, ha rifiutato l’uso del cocchio regale al quale aveva diritto, ha camminato a piede, sempre circondato dei poveri bambini della strada che lo volevano tanto bene, tra l’altro perchè spendeva in pane e golosità per loro tante delle offerte che i grandi signori gli consegnavano.

La spiritualità e l’apostolato di san Simone sono segnati da due caratteristiche: il culto di Maria e il servizio ai poveri. La sua esuberante devozione mariana, specialmente nei confronti del Nome di Maria, riscuoterà un grande sucesso quando chiederà e otterrà da papa Gregorio XV la festa liturgica del Nome di Maria per i trinitari e per la diocesi primaziale di Toledo, nel 1622. In onore di Maria e per l’asistenza ai poveri, san Simone ha fondato, nel 1611, la Congregazione degli Schiavi del Santo Nome di Maria, tuttora esistente come l’istituzione di carità più antica di quante oggi esistono nella capitale della Spagna. La festa liturgica del Santo Nome di Maria, tuttora celebrata dai trinitari il 12 settembre di ogni anno è memoria della devozione mariana di colui che è stato definito “il san Bernardo spagnolo”.

San Simone si è prodigato per sollevare le miserie fisiche e spituali di ogni tipo di poveri, prostitute, neonati abbandonati, ammalati, mendicanti, schiavi cristiani in Algeria, soldati mutilati, sacerdoti anziani che vivevano miseramente… Tutti i martedì visitava i carcerati nel carcere vicino alla Piazza Maggiore di Madrid, mentre i lunedì e i venerdì andava agli ospedali per visitare i malati più abbandonati, portando ad essi qualche aiuto. I suoi prediletti sono stati i poveri. Quando re Filippo IV gli ha fatto capire che non era conveniente che il confessore della regina andasse per le strade in compagnia dei poveri, il santo gli rispose tranquillamente: “Se Vostra Maestà vuole cercare un’altro confessore per la regina, faccia pure e tranquillamente. Perchè se è vero che i re e i poveri sono costati lo stesso sangue a Cristo, se devo scegliere, preferisco stare con i poveri. In quell’occasione Filippo IV disse queste parole a Isabella di Borbone, che sono rimaste celebri nella storia: “Se nei miei regni ci fosse un’uomo più santo di Padre Rojas io lo nominerei vostro confessore, ma non lo trovo”. Quando la Regina costringeva il suo Confessore ad accompagnarla alla Reggia di Aranjuez per il periodo estivo, san Simone passava con un sacco in mano durante i pasti reali, raccogliendo diverse pietanze dai tavoli dove erano seduti i grandi della Corte; caricava tutto su alcuni somari e andava alla vicina cittadina di Ocaña, distribuendo tutto quel ben di Dio tra i detenuti del carcere che vi si trovava.

Ha lottato contro la tratta delle persone. Avvalendosi del suo essere confessore della Regina, ha costituito una rete di protezione per le ragazze che volevano lasciare la prostituzione. Prima, le radunava in una chiesa per un sermone, dove le invitava a cambiare vita, offrendo delle garanzie per la loro sicurezza nei confronti dei malavitosi che si arricchivano con la prostituzione. Le ragazze che davano un passo avanti, venivano distribuite nelle case di persone di fiducia di san Simone; si trovava una sistemazione degna, un lavoro -speso di servizio domestico- e perfino uno sposo a tante di esse. Il Santo ha curato anche tanti neonati abbandonati dai genitori poveri, cercando persone e istituzioni che li accogliessero, e offrendo somme di denaro per aiutarli nei loro bisogni.  

San Simone è morto il 29 settembre 1624 nel suo convento della Santissima Trinità “dei calzati” a Madrid. È stato dipinto, morto, da Velazquez, e da altri pittori tra i migliori del momento. Ha goduto di una straordinaria fama di santità quando era vivo, e questa fama è cresciuta dopo la sua morte, a causa delle molte grazie e miracoli coi quali Dio ha confermato la sua santità di vita.

Quando Padre Rojas è stato canonizzato nel 1988 da papa Giovanni Paolo II, l’allora Ministro Generale dell’Ordine, P. José Gamarra, definì san Simone come “il trinitario completo”. La sua vita rappresenta l’incarnazione del carisma trinitario nella concretezza della vita quotidiana e delle circonstanze straordinarie nelle quali è trascorsa la sua vita.

La sua festa liturgica ricorre il 28 di settembre. Il suo corpo si trovava nella Cappella dell’Ave Maria, a Madrid, fino al 1936, quando è andato perso in seguito alla profanazione di questa cappella, durante la persecuzione che ha sofferto la Chiesa spagnola in quel tempo. Resta una parte del suo corpo nella Cattedrale di Valladolid, eretta nel luogo della casa dove è nato san Simone de Rojas.

Scritto da P. Pedro Aliaga Asensio

San Michele dei Santi

Patrono della Gioventù Trinitaria

«Tutto ciò che Cristo tocca diventa giovane, diventa nuovo, è pieno di vita» (Papa Francesco, Christus vivit, 1) è ciò che possiamo confermare nella vita del Patrono della Gioventù Trinitaria, San Michele dei Santi (1591-1625 ). Al momento del Battesimo di San Michele dei Santi, suo padre Enrique Argimir annotava nel taccuino di famiglia: “Il 29 settembre, festa del glorioso Arcangelo San Michele, dell’anno 1591, Monserrat Mitjana, mia moglie, partorì un figlio. Nel fonte battesimale ha ricevuto i nomi di Miguel, José, Jerónimo. Possa Dio farne un buon cristiano, a suo onore e gloria».

Aveva perso sua madre all’età di 4 anni e suo padre all’età di 11 anni. Suo padre, notaio e sindaco di Vich. Vedendo le qualità di Michele, voleva che fin da giovanissimo si applicasse ai suoi studi. Il suo maestro di latino lo ricorda gioviale e con un forte ascendente tra i suoi coetanei, e afferma che Michele lo aiutò a insegnare il latino a coloro che ne avevano più bisogno. “Quando aveva otto anni – racconta un suo amico – ci ha emozionato alla sua idea di andare a Montseny a vivere come eremita”.

Michele sognava di essere un religioso e, di fronte al persistente rifiuto dei suoi tutori e fratelli maggiori, maturò un piano per fuggire da Vich a Barcellona. Nell’agosto del 1603 realizzò il suo progetto e si presentò alla Chiesa dei Trinitari. Nel 1607, durante il suo noviziato a Saragozza, il Trinitario P. Manuel de la Cruz, scalzo, per la sua ordinazione sacerdotale venne a soggiornare nel convento. Da quel momento in poi iniziò a implorare il permesso di passare alla Riforma.

Sappiamo che il nostro santo manifestò nel corso della sua vita un profondo senso di gratitudine verso coloro che lo avevano accolto e iniziato alla vita religiosa. Il suo compagno don Diego de la Madre de Dios scrive della sua vita nelle Cronache degli Scalzi: “Nei sei anni in cui studiò alle Università di Baeza e Salamanca fu prodigio di santità, combinando sapientemente vita attiva e contemplativa”. Alla domanda sul perché passasse così tanto tempo davanti a Gesù Sacramentato, San Miguel de los Santos ripeteva: “È perché mi ha incatenato”. Fin da giovanissimo si manifestarono in lui fenomeni mistici, uno dei più notevoli si riferisce allo scambio di cuori con il Cuore di Gesù, il nostro Santo era molto devota a Santa Caterina da Siena.

A Baeza, studente di filosofia in quell’università, si sottopose a una prova speciale, quando venne mossa contro di lui una falsa accusa -non sappiamo in cosa consistesse-, che lo portò a una condanna temporanea al carcere del convento. Matías, che lo visitava quotidianamente, non ha notato alcun tipo di scoraggiamento. Al contrario, l’ha sempre trovato di buon umore. “Qui – ha detto – posso dedicare tutto il mio tempo alla preghiera”. Agli incaricati di indagare su ciò di cui era accusato, rispondeva: «Se Dio mi abbandona, sono capace di cose peggiori». Alla fine, è stata scoperta la sua completa innocenza. E i calunniatori, mossi dalla carità di P. Michele dei Santi, che ha risposto al male con il bene, hanno cambiato vita.

Non fu solo pio e intelligente, fu anche ingegnoso nell’inventare nuove modalità di apostolato che toccassero il cuore. Essendo studente all’Università di Salamanca, durante la preghiera, gli venne l’idea di fare penitenza nella pubblica piazza, durante il carnevale.

Convinse diversi religiosi a partecipare a questa iniziativa, tra cui P. Marcos, fervente predicatore. Preceduto da un grande Crocifisso, si formò il seguito, composto da sei religiosi in abito da penitenti, che si flagellavano portando sul capo una corona di spine. Arrivato in Plaza de San Juan, P. Marcos si è alzato su uno sgabello e ha cominciato a predicare alla folla che festeggiava vestita con gli abiti più strani. In questo San Michele dei Santi lancia un grido formidabile e va verso il Crocifisso, rimanendo sospeso in estasi. Lo shock percorse la folla di giovani studenti. L’orgia carnevalesca si trasformò in un corteo di penitenza verso la chiesa del Convento Trinitario Scalzo. Da allora gli diedero il soprannome di “Fr. Michele, il cacciatore di anime”.

Era molto affabile e, soprattutto non gli piaceva vedere nessuno triste. Diceva: “Dobbiamo servire Dio con gioia. La tristezza provoca molti danni al corpo e all’anima. Un testimone dice: «La gioia e la pace continua del suo volto erano espressione di quanto accadeva nel suo cuore, della sua ardente sete di Dio». Testimoni della Causa di Canonizzazione raccontano come riusciva a scoprire persone povere e sole che aiutava con discrezione, portando loro cibo sotto il suo mantello.

Morì serenamente all’età di Cristo, più che per malattia, morì consumato dall’amore che ardeva nel suo cuore. Valladolid, 10 aprile 1625. Nel suo Trattato sulla tranquillità dell’anima, ci ha lasciato tracciata la via per essere santi, è la stessa via che lui ha percorso nella sua vita. I suoi scritti mistici che ci danno i segni luminosi del cammino di identificazione con Cristo sono considerati dagli esperti di grande valore, nello stile paragonabile ai meravigliosi scritti di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa di Gesù.

Il miracolo per la sua canonizzazione fu ricevuto da un giovane conventuale confratello trinitario di Santa Maria alle Fornaci, Padre Antonio della Madre di Dio. Questo giovane trinitario si dedicò anima e corpo alla canonizzazione di San Michele dei Santi. Arrivò il tanto atteso giorno della canonizzazione. Papa Pio IX canonizzò anche i Martiri giapponesi, era l’8 giugno 1862. Alla cerimonia parteciparono 286, tra cardinali e vescovi, cosa mai vista prima in riti simili. Le cronache vaticane di quel giorno danno notizia di un centinaio di abiti trinitari in piazza San Pietro.

Scritto da P. Isidoro Murciego Murciego

Beati del nostro Ordine

Beata Elisabetta Canori Mora

Nasce a Roma in una famiglia benestante nel 1774 e ivi muore nel 1825. Madre di quattro figlie di cui due muoiono in tenera età, moglie tradita, umiliata e derisa, trova nella preghiera la forza per prendere le redini della famiglia, occuparsi delle figlie, continuare ad amare il marito infedele, assisterlo nella malattia, proteggerlo quando rischia di essere rinchiuso in carcere e di morire per mano di persone di poco scrupolo, e, soprattutto, si prodiga per la sua conversione.

Elisabetta ha lasciato un Diario che è un capolavoro di inestimabile valenza spirituale e, a proposito della sua situazione, scrive: “Il Signore mi fece conoscere che non dovevo abbandonare queste tre anime, cioè le due figlie e il consorte, mentre per mezzo mio le voleva salvare”.

E lei si offre quale vittima d’amore per la salvezza delle figlie e del marito fedifrago e violento; è consapevole che nessuno si salva da solo e che Dio ha affidato a ciascuno la responsabilità della salvezza dell’altro per realizzare il suo progetto d'amore, pertanto, Elisabetta sopporta il disprezzo del marito e il suo comportamento duro e non cede alla richiesta di dargli l’approvazione perché frequenti l’amante.

Nello Stato Pontificio c’erano pene severe per l’adulterio e Cristoforo, per evitarle, cerca di far firmare a Elisabetta una dichiarazione, ma lei non vuole in alcun modo avallare la sua infedeltà e messo alle strette, il marito impugna un coltello contro la moglie, ma il braccio rimane sospeso nell’aria fermato da una forza superiore.

Elisabetta è disposta a dimenticare e a perdonare ma non a favorire l’adulterio del coniuge. Un santo crocifisso è il suo scudo di difesa quando, per salvare Cristoforo e liberarlo dal pericolo imminente di essere incarcerato per debiti, vende gli oggetti di valore della sua dote e i mobili per soddisfare i creditori; in quella occasione va a parlare personalmente con ognuno di loro chiedendo pazienza e perdono per il marito e soprattutto li prega di accontentarsi di quello che può dare.

La famiglia è ridotta in estrema povertà per la dissolutezza del marito, quindi, è costretta a lasciare la bella casa e andare ad abitare in quella dei suoceri.

Nella nuova situazione Elisabetta fa di tutto per recare meno disturbo possibile, prestandosi nei lavori più umili per ringraziare i suoceri e le cognate dell’ospitalità. Nello stesso tempo cerca di ricondurre affettivamente il marito al focolare domestico.

Eroicamente Elisabetta prega il Signore anche per la salvezza dell’amante del marito.

Inizia così il cammino di ascesa del suo stato di unione con Cristo che ama con tutte le sue forze; Egli sarà il suo rifugio, il suo conforto e il suo compagno di cammino, senza mai trascurare la famiglia che, orfana di padre, soffre anche per mancanza di mezzi di sussistenza.

Giorno dopo giorno, alla presenza del Signore, in un clima di preghiera e di raccoglimento, confidando solo nell’aiuto di Dio e nella sua assistenza, Elisabetta offre le sue sofferenze per la santità della sua famiglia.

Scritto da Giovanna Cossu Merendino

Beato Marcos Criado

Marcos Criado Guelamo, meglio conosciuto come Beato Marco Criado, nacque il 25 aprile 1522 ad Andújar (Jaén) e la sua esistenza terrena si concluse violentemente a causa della sua fede nel "Dolce nome di Gesù" a La Peza (Granada), il 24 settembre 1569. Professò come Trinitario calzato (OSST), si distinse per la sua umiltà e capacità di predicare e fu martirizzato per il Vangelo a Las Alpujarras durante una rivolta dei Mori.

Marco Criado nacque in una famiglia numerosa con profonde radici cristiane, era il più giovane dei suoi fratelli, figlio di Juan Criado Notario, originario di Lahiguera (allora La Higuera de Andújar), e María o Marina Guelamo Pasillas, una pia donna di Andujar. Fin da giovanissimo frequentò la chiesa conventuale dei Trinitari nella sua città natale.

Dopo la morte della madre, si recò in pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora de la Cabeza, nella Sierra Morena, per pregare e raccomandare a Dio la sua anima. Seguendo la tradizione, dormì nel Santuario, chiedendo alla Vergine di dirgli se era volontà divina entrare nell'Ordine Trinitario. Marco Criado, abbracciò i disegni dell'Eterno Padre e con generosità e umiltà seguì la sua vocazione. Fece il noviziato nel convento di Andújar nel 1535. Anche suo padre decise di entrare nella vita religiosa e di entrare nell'Ordine Francescano, nel convento di Arruzafa a Córdoba.

Dopo essere stato ordinato sacerdote, fu assegnato successivamente dai suoi superiori ai conventi di Andújar, Jaén e Úbeda, dove gli fu affidato l'incarico di predicatore. A Úbeda unì a questa missione l'ufficio di sagrestano, compito al quale si dedicò anima e corpo per soddisfare il suo anelito di servizio alla comunità con umiltà e semplicità. Più volte si dimise dagli incarichi più alti dell' Ordine per l'alta stima che nutriva per una vita di semplicità evangelica.

Accadde che l'arcivescovo di Granada Mons. Pedro Guerrero, preoccupato per le gravi insurrezioni che si stavano verificando nella zona delle Alpujarras di Granada, si incontrò con i vescovi di Almería, Guadix e Málaga che concordarono, in primo luogo di “inviare sacerdoti dotti nella predicazione ed esemplari nella loro vita cristiana nelle zone più colpite dai moti moreschi, perché si dedichino con zelo, a rassomigliare al seme evangelico”.

Su richiesta del Vescovo di Almería, il Ministro provinciale trinitario di Castiglia e Andalusia in visita a Úbeda, considerando il valore di fra Marco per la missione di Alpujarra, acconsentì che Padre Marcos Criado accompagnasse Padre Pedro de San Martín al convento di Almería, per occuparsi della predicazione itinerante in territori di significativa popolazione moresca nel sud-est della Spagna. Il suo compagno morì subito e Marco Criado rimase solo, dedito alla missione tra i mori.

L'azione apostolica di Marco Criado fu rivolta a diverse località delle diocesi di Almería, Granada e Guadix. La sua predicazione si concentrò soprattutto sulla regione degli Alpujarras, dove vi era una grande presenza di musulmani, luogo pericoloso per qualsiasi predicatore cristiano e anche per gli abitanti cristiani della zona.

La città di La Peza divenne il centro delle sue attività missionarie e fu di grande sostegno per il parroco locale. Il suo zelo nel diffondere la devozione al dolce nome di Gesù e le sue prediche popolari ottennero grande successo.

Durante uno dei suoi viaggi missionari, mentre attraversava la Sierra de los Filabres, Marco Criado fu catturato da un gruppo di Mori, che lo legarono ad un albero per due giorni. Dopo essere miracolosamente sopravvissuto riusì a parlare con Abén Cota, capo dei Mori ribelli, per negoziare un accordo di pace che non andò a buon fine. Fu torturato, legato alla coda di un cavallo e trascinato a lungo. Fu abbandonato al suo destino, pensando che sarebbe morto. Tuttavia si riprese dalle ferite e andò in missione nelle regioni di Almanzora e Tahá de Marchena, con grande successo nelle città di Vera e Cadiar. In questo luogo un gruppo di Mori fuggì e chiese di ucciderlo durante un sermone.

La notte di Natale del 1568 ci fu un grande ritrovo di mori nelle Alpujarras.

Alla vigilia di San Giovanni nel 1569, le truppe musulmane comandate da Aben Homeya decisero di tornare a La Peza. Fra Marco e il parroco erano confinati nella chiesa parrocchiale, i loro movimenti e le loro parole venivano costantemente sorvegliati.

Alcuni esaltati uccisero il parroco alla porta della stessa Chiesa, gli stessi che pochi giorni dopo assaltarono il luogo sacro mentre fra Marco predicava ad un piccolo numero di cristiani rimasti in città. Era il 22 settembre 1569 quando fra Marco fu trascinato dal pulpito alla piazza dove venne lapidato, dopo essere stato coperto di schiaffi e sputi. Fu spinto lungo la strada fino alla fontana di Belchite, dall'altra parte del torrente, dove fu legato ad una quercia. Là rimase, cantando inni e lodando a gran voce il nome di Gesù, fino al 24 settembre, quando venne ucciso, strappandogli il cuore, sul quale, secondo i testimoni, era apparso scritto l'anagramma di Gesù: “JHS”.

Divenne noto come “il martire delle Alpujarras”, il suo culto ebbe subito una grande diffusione. La gente di La Peza lo chiama San Marco. Ancora oggi il luogo della sua sepoltura rimane un mistero. L'iconografia lo rappresenta con il cuore in mano, e in esso inciso l'anagramma di Gesù, a ricordo del prodigio che, come si è accennato, avvenne secondo la tradizione al momento del martirio. Raccolte le testimonianze del suo culto da padre Antonino dell’Assunta, postulatore generale dei Trinitari scalzi, Leone XIII lo beatificò il 24 luglio 1899. La sua memoria liturgica è celebrata il 24 settembre. Modello di santità ed esempio perenne per le generazioni future di valori umani e spirituali radicati nella sua profonda fede in Dio Trinità.

Scritto da Andrés Borrego Toledano

Beata Anna Maria Taigi

Nasce a Siena nel 1769 in una famiglia benestante e muore poverissima a Roma nel 1837. A vent’anni sposa Domenico Taigi un servitore della famiglia Chigi; sono poveri, il marito guadagna appena sei paoli al mese ma la povertà non è un ostacolo per la loro felicità, perché non sono soli, il loro matrimonio è composto di tre persone: c’è Gesù con loro, c’è la Divina Provvidenza, quello che non può darle Domenico glielo offre Dio in abbondanza, soprattutto in doni spirituali. 

Dio ha mille modi per farsi presente nell’anima di una persona, per rivelare che esiste; Anna Maria è toccata dalla grazia dopo poco tempo dal matrimonio, in seguito a un incontro nella Basilica di San Pietro in Vaticano con Padre Angelo Verardi, dei Servi di Maria, che la fa rinascere a una vita intensamente cristiana.

Si spoglia, quindi, di se stessa, dei suoi egoismi e individualismi e si lascia rivestire di Dio, continuando a vivere in pienezza la sua vocazione matrimoniale, con un amore che è dedizione, altruismo e donazione.

Dal matrimonio nascono sette figli di cui tre muoiono in tenera età; in quel periodo la mortalità infantile è molto elevata soprattutto per la mancanza di prevenzione e per le scarse cure.

Anna Maria accetta la sofferenza per amore di Dio, condividendo il dolore e lo strazio che Gesù ha provato sulla croce, come un profondo e generoso atto d’amore e diventa presto un punto di riferimento per molte famiglie in difficoltà, per gli sposi in crisi e per i genitori disorientati nel difficile compito dell’educazione dei figli.

Anna Maria prega e offre le sue penitenze per il Papa, per la Chiesa e per Roma che vivono un periodo difficile, e in modo particolare per il Sommo Pontefice Pio VII, il quale arrestato con l’inganno dalle truppe napoleoniche è portato prima a Savona (dal 1809 al 1812), dopo in Francia (dal 1812 al 1814); prega e incoraggia i fedeli ad avere fiducia nel ristabilimento della giustizia e della pace.

Anna Maria visita i malati negli ospedali e nelle case, specialmente in quelle dei poveri, fa loro il segno della croce sulla fronte, invocando la Santissima Trinità per ottenere la grazia della guarigione, e nello stesso tempo li incoraggia ad accettare la sofferenza per amore di Dio e li istruisce nella Sua Parola.

Anna Maria, illuminata dalla predicazione del Vangelo, purificata dal sacramento della penitenza, è diventata, per quanti l’hanno conosciuta, un ammirevole esempio di virtù evangeliche, maestra sapiente di discernimento cristiano, guida sicura nel cammino della perfezione; una testimone privilegiata della grandezza di Dio.

Scritto da Giovanna Cossu Merendino

Beato Domenico Iturrate Zubero

Sacerdote trinitario

Martirologio Romano: Nel convento di Belmonte, vicino a Cuenca, in Spagna, il Beato Domingo del Santissimo Sacramento Iturrate, sacerdote dell'Ordine della Santissima Trinità, che ha lavorato con tutte le sue forze per la salvezza delle anime e per promuovere la glorificazione della Trinità (1927).

Data della beatificazione: 30 ottobre 1983 da parte di Papa Giovanni Paolo II.

Primogenito di undici figli, Domingo Iturrate Zubero nacque a Dima (Vizcaya, Spagna) l'11 maggio 1901. I genitori del Beato Domenico erano Simon Iturrate e Maria Zubero. Era caratterizzato da un temperamento sensibile, incline all'irritabilità, e fin da bambino, nel calore di una buona casa cristiana, cominciarono a crescere in lui i semi di una profonda pietà eucaristica e mariana e un'inclinazione vocazionale. Quando ricevette la prima Comunione all'età di dieci anni, poteva già essere considerato un amante di Cristo.

Entrò nell'Ordine Trinitario nel 1914 (noviziato nel 1917; primi voti nel 1918). Al termine del noviziato, il suo aspetto fisico indicava chiaramente che stava facendo la mano alle privazioni e alle penitenze, ma nessuno poteva immaginare il suo travaglio interiore. Più tardi, grazie a una successiva confidenza che fece al suo direttore spirituale, si venne a sapere che dai 14 ai 17 anni era stato sottoposto da Dio alla cosiddetta "notte oscura dello spirito", piena di aridità, ansia e angoscia, con la persecuzione di appartenere al "numero dei reprobi e dei condannati". Il giorno della mia professione semplice", continua, "le fatiche interiori cessarono e ricevetti il dono della tranquillità. Da allora", dice alla fine della sua vita, "la mia serenità d'animo è stata abituale, la mia pace interiore e la mia tranquillità inalterabili".

Studiò filosofia e teologia all'Università Gregoriana di Roma (1919-1926) con ottimi voti e un dottorato in entrambe le discipline. Prese i voti solenni il 23 ottobre 1922; due anni dopo, con l'assenso del suo santo direttore spirituale, Fra Antonino de la Asunción, prese "il voto di fare ciò che sapeva essere più perfetto". Fu ordinato sacerdote il 9 agosto 1925.

Desiderava essere missionario e annunciatore del mistero trinitario nelle terre degli infedeli; i suoi superiori lo indirizzarono verso il campo della formazione. Ma la Provvidenza aveva un altro piano. Nel giugno del 1926 gli fu rivelata la malattia (tubercolosi polmonare) che lo avrebbe condotto alla tomba a Belmonte (Cuenca, Spagna) il 7 aprile 1927.

Le sue reliquie sono venerate nella Chiesa del Redentore (Algorta, Spagna), dei Religiosi Trinitari.

Fonte : laicadotrinitariopr.org

Venerabili del nostro Ordine

 

Mons. Giuseppe Di Donna

Il Venerabile – Vescovo di Andria

Mons. Giuseppe Di Donna è per la Diocesi di Andria, il Vescovo del Congresso mariano (1947), ma anche del Sinodo diocesano (1950); il cantore della SS.ma Trinità, al cui culto e devozione impegnò tutta la sua vita di sacerdote, di missionario e di Vescovo; l’innamorato dell’Eucaristia e della Madonna, sorgenti del suo impegno apostolico;

L’ardente evangelizzatore in terra di missione (Madagascar) e nei paesi della diocesi a lui affidata; l’asceta e mistico che si offre quale vittima di espiazione insieme al suo Signore mediante lo “sposalizio con la Croce” (26 marzo 1926, venerdì di passione primo giorno di nuova vita); l’infaticabile promotore di opere sociali a favore delle classi più bisognose e modello di carità eroica; il solerte Pastore preoccupato della formazione spirituale del suo clero e convinto assertore della necessità dell’apostolato dei laici nel campo religioso ma anche in quello sociale e politico.

Nato a Rutigliano (Bari) il 23 agosto 1901, a 11 anni entrò nell’Ordine Trinitario; nel 1916 fu inviato a Livorno per il noviziato, quindi a Roma per lo studio della filosofia e della teologia presso il Collegio S. Crisogono, frequentando contemporaneamente l’Università Gregoriana.

Il 18 maggio 1924 fu ordinato sacerdote, coronando un sogno coltivato da ragazzo. Affascinato dall’ideale missionario, il 4 giugno 1926 con altri quattro membri dell’Ordine Trinitario partì da Roma per il Madagascar, con destinazione Miarinarivo. Intensa fu l’attività apostolica in quel lontano lembo di terra africana, ricca di opere religiose e civili a favore della popolazione malgascia.

Era suo vivo desiderio rimanere in Africa e ivi concludere la sua vita come missionario, allorché nel 1939 Pio XII lo nominò Vescovo di Andria. Ordinato a Roma 1131 marzo 1940, fece il suo ingresso in diocesi il 5 maggio successivo. Il governo pastorale di mons. Di Donna durò dodici anni, conclusosi con la morte prematura il 2 gennaio 1952 per una neoplasia polmonare. I funerali si rivelarono un’apoteosi e il popolo cristiano lo pregò subito come “santo”.

Non solo i fedeli avvertirono lo straordinario spessore spirituale di mons. Di Donna, ma anche i Vescovi pugliesi, che in una petizione rivolta a Giovanni Paolo li resero questa commossa testimonianza: «Il profilo spirituale del missionario Vescovo Di Donna può essere compendiato in due caratteristiche salienti e complementari: una profonda vita spirituale, improntata alla fede e devozione verso la SS. Trinità, secondo il carisma dell’Ordine; ed una autentica carità pastorale».

Fonte : https://www.diocesiandria.org/fra-giuseppe-di-donna/

Ven. Felice della Vergine, venerabile (1902-1951), modello di vita religiosa e umiltà, formatore di religiosi, predicatore popolare.

Tommaso della Vergine, venerabile (1587-1647), consigliere di papi, vescovi e governanti, modello di speranza nel mistero del suo dolore, fece della sua lunga malattia luogo di annunciazione di Cristo crocifisso.

Francisco Méndez Casariego, venerabile (1850-1924), fondatore della congregazione delle Sorelle Trinitarie di Madrid, una vita dedicata alla liberazione della gioventù bisognosa.

Venerabile Mariana Allsopp y Manrique (1854-1933), serva di Dio, cofondatrice delle sorelle trinitarie di Madrid, una vita da madre dedicata alle ragazze abbandonate e senza tetto.

Martiri di Algeri

P. Bernardo Monroy (1559-1622),

P. Giovanni de Palacios (1560-1616),

P. Giovanni de Águila (1563-1613).

Martiri d’Inghilterra

 P. Cornelio O’Connor (+ 1664),

P. Eugenio Daly (+ 1664).

Martiri della Diocesi di Jaén (Spagna)

(Villanueva del Arzobispo, Andújar (La Cabeza) e Martos)

P. Mariano di S. Giuseppe (1857-1936),

P. Giuseppe di Gesù e Maria (1880-1936),

P. Prudenzio della Croce (1883-1936),

P. Secondo di Santa Teresa (1891-1936),

P. Giovanni di Gesù e Maria (1895-1936),

Suor Francesca dell’Incarnazione Martos (1872-1936).

Martiri de Belmonte (Cuenca)

P. Luigi di S. Michele (1891-1936),

P. Melchiorre dello Spirito Santo (1898-1936),

P. Giacomo di Gesù (1903-1936),

Fr. Giovanni della Vergine de Castellar (1898-1936).

Martiri di Alcázar de San Juan

P. Ermenegildo dell’Assunzione (1879-1936),

P. Bonaventura di S. Caterina (1887-1936),

P. Francesco di S. Lorenzo (1889-1936),

P. Placido di Gesù (1890-1936),

P. Antonio di Gesù e Maria (1902-1936),

Fr. Stefano di S. Giuseppe (1880-1936).

Servi/e di Dio

SdD. (**) P. Giovanni di S. Giuseppe (1586-1616),

SdD. Angela Maria Autsch (1900-1944) + Auschwitz, Trinitaria di Valencia, serva di Dio, testimone di carità eroica nei campi di concentramento di Ravensbruck e Auschwiz, dove morì.

SdD. Maria Teresa Cucchiari (1734-1801), Fondatrice delle Suore Trinitarie di Roma, (1734-1801), terziaria trinitaria, una vita dedicata all’istruzione delle bambine povere.

SdD. Marcela de San Félix (1605-1687), figlia di Lope de Vega, trinitaria di clausura a Madrid, una vita da santa, una delle più importanti scrittrici di liriche del XVII secolo spagnolo.

SdD. Angela M. de la Concezione, serva di Dio (1649-1690), riformatrice delle trinitarie di clausura, fondatrice del monastero delle trinitarie di El Toboso, scrittrice mistica.

SdD. Isabel della Santissima Trinità (1693-1774), fondatrice del Beaterio della Santissima Trinità di Siviglia per l’assistenza alle ofranelle.

* Ven. = Venerabile
** SdD. = Servo/a di Dio